Le Pietre riciclate

Ultimo aggiornamento della pagina: 11/12/2008

E’ risaputo che gli antichi avevano capacità di riciclare molto superiori alle nostre (purtroppo ci vuole assai poco…) e che in pratica tutto veniva riusato più e più volte. Soprattutto nel medioevo ma anche nel rinascimento troviamo ampie tracce di riutilizzo di moltissimi materiali (almeno quelli che ci sono pervenuti) ceramica, legno, vetro, metallo, ma anche stoffa, tela, carta e, soprattutto, materiale edilizio come mattoni, pietre e marmi. In particolare a partire dall’epoca tardo antica  (almeno dal VI sec. d.C.) si cominciarono a spoliare (ovvero a smantellare x utilizzare i materiali costruttivi) sistematicamente tutti gli edifici e i monumenti lasciati dai romani. Non fa eccezione Ferrara e il suo territorio che conservava importanti insediamenti (luoghi in cui hanno vissuto) romani, che ben presto divennero vere e proprie “cave” di materiale da costruzione. Ne è un esempio il ricco centro di Vicus Aventhia che, dopo il trasferimento della Diocesi proprio a Ferrara, decadde in breve tempo e molti dei suoi edifici e necropoli furono saccheggiati e “smantellati”.

Ma ecco i casi più sorprendenti di riciclo di manufatti lapidei.

Le pietre del Duomo

pietreduomo.jpgNel duomo furono reimpiegate molte pietre in particolare realizzate dai romani per uso funerario. Alcune nel 700 furono asportate e ora conservate nel Lapidarium. Si tratta della stele con ritratto del medico Pupius, forse scambiata per una icona di Santo e murata dentro la cattedrale, la bella stele dei Calventii la cui traccia è ancora visibile sotto la statua di Alberto V e la stele dei Domitii posta sul lato settentrionale dell’edificio. Altre due di queste nostre pietre sono invece ancora visibili, si tratta di un fregio (decorazione) vegetale con foglie di Acanto riconoscibile nella parte superiore sinistra del Protiro. Dell’altra pietra, posta sempre a sinistra sopra l’ingresso laterale, ha suscitato curiosità e leggende fin dal rinascimento; si tratta infatti di una sorta di piccolo Clipeo da cui sporge un busto femminile come spesso se ne trovano nei sarcofagi romani (imago clipeata). Molti autori sostengono che si tratta dell’immagine, posta a segnalare l’ingresso riservato agli uomini, di “madonna Ferrara” la mitica fondatrice o, almeno protettrice della Città...

Il pinnacolo del campanile dei Sant’Antonio in Polesine
santantonio.jpgIl campanile di Sant’Antonio in Polesine finisce, come molti campanili antichi con il tetto a punta. Intorno alla base da cui si innalza il tetto sono disposti quattro pinnacoli.

Uno dei quattro tuttavia era una delle nostre pietre, una piccola stele funeraria romana, la stele di Festio. Triste è la storia narrata nella  sua iscrizione: Festio, il cui ritratto è scolpito sopra l’epigrafe, era un bimbo, nato schiavo ma molto amato dal suo padrone tanto che questi aveva deciso di liberarlo ed adottarlo. Purtroppo Festio cadde in un pozzo e così l’unico gesto d’affetto che potè fare il suo padrone fu quello di farne scolpire il monumento funebre.

Un sarcofago per San Leone e l’abbeveratoio
Il sarcofago di cui parliamo è quello monumentale di Annia Faustina reimpiegato per molto tempo  nella  chiesa di Santo Stefano a Ferrara come base di altare e come sarcofago di San Leone. Questo risulta dalla guida didattica al Lapidarium. Noi abbiamo cercato altre notizie su questo Santo. Ma l’unico San Leone? che abbiamo trovato è  quello, di origine dalmata, le cui spoglie riposano a Voghiera  nella ex chiesa di Santo Stefano (?) ora appunto intitolata a San Leo. Il mistero però si infittisce ancora di più perché questo San Leone ha il suo sarcofago paleocristiano fin da quando è giunto a Vicoaventino (anche in questo caso sul come non si è certi…).

abbeveratoio.jpg
 
(Voghiera, chiesa di San Leo: particolare del sarcofago di San Leone)

Le nostre ricerche si sono fermate qui per ragioni di tempo ma saremmo lieti che qualcuno ci desse ulteriori informazioni.
Più sicuro è l’uso che venne fatto del coperchio del sarcofago di Annia Faustina, che prima d’essere ricollocato al suo legittimo posto fu usato fino alla metà del 700 come abbeveratoio per gli animali; di questo reimpiego si conserva traccia nei buchi praticati per lo scolo dell’acqua.
 
Le steli dell’antica pieve
pieve.jpgL’ iscrizione funeraria di Blandus presente nel lapidarium (la n. 40) fu rinvenuta a Valle Trebba nel comune di Ostellato e inizialmente reimpiegata nella Chiesa di San Vito presso Medelana. Questa antica pieve conserva però altri bellissimi esempi di reimpiego sia nella cripta che presso l’altare maggiore. Ad esempio a sostegno della mensa d’altare nella cripta è stato usato il sarcofago di una bambina, Domiria Paulina, morta all’età di 4 anni.
 
La lapide del capitano della fortezza
Un curioso reimpiego ha subito anche la stele di Aelia Regilla (esposta nel lapidarium n. 3) posta a destra fra le prime  vicino l’ingresso. Sul retro infatti si legge una seconda iscrizione sempre in latino ma che reca la data del 1622. Si tratta dell’epigrafe funeraria di Bernardino Crescio Romano, che fu, “capo dei bombardieri in questa fortezza” (pensiamo probabilmente si tratti della fortezza pontificia…)

La colonna di Borso

borso.jpgLa colonna che sostiene il monumento di Borso d’Este in Trono, davanti al Volto del Palazzo Municipale, termina con un basamento molto particolare, fatto di lastre di marmo di diversi colori; la particolarità tuttavia non sta nel numero o nel colore delle lastre ma nella loro natura e provenienza. Si tratta infatti di lastre tombali del Cimitero Ebraico, il cosiddetto “Antico Orto degli Ebrei”, e che furono abbattute dall’Inquisizione del XVII secolo durante il governo pontificio di Ferrara.
 
La storia ci tramanda però che, in precedenza, i Duchi d’Este sempre accolsero, ospitarono e protessero gli Ebrei nella loro città. Per questo ci vien da pensare che al Principe Borso, potendo scegliere, proprio non sarebbe piaciuto stare seduto lì sopra, come appare ben chiaro dall’espressione poco serena del suo volto...
 
 
 


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